Prima di tutto serve porre l’attenzione sulla natura del colloquio individuale psicologico. È una forma particolare di dialogo tra due individui; è differente da quello che si possa fare con un amico, un genitore, un professore o con altre figure amicali e informali. Il colloquio individuale è un incontro tra un professionista disposto ad ascoltare e ad accompagnare l’altro, il paziente, in un viaggio dentro di sé per cercare delle risposte alla proprie domande, portare senso alla propria sofferenza per avere una qualità di vita psicologica migliore. Tra le parole che maggiormente fondano il colloquio individuale ci sono empatia e accoglienza. Accoglienza del paziente così com’è, senza aver aspettative o pretese. Accoglienza di ciò che viene “portato” in seduta, senza giudizio. Con qualche paziente che si aspettava che lo giudicassi, qualche volta mi è capitato di scherzare dicendo che forse avesse sbagliato porta, avrebbe trovato un avvocato qualche palazzo oltre. Accoglienza sostenuta da genuino interesse da parte del terapeuta. È utile fare una riflessione partendo dall’etimologia. La parola colloquio deriva dal latino cum e colloqui. Cum significa “insieme” e colloquium deriva a sua volta da collum, “sostenere”, “spingere”, “innalzare”.
Esistono varie tipologie di colloquio individuale in base agli scopi che si desiderano. Il colloquio diagnostico ha lo scopo di raccogliere informazioni per poi poter produrre una diagnosi, un modo per dare un nome condiviso alla sofferenza del paziente. Quella diagnosi aiuterà i successivi professionisti ad orientarsi nella “cura del paziente”. Il colloquio di orientamento si prefigge di informare cosicché il paziente abbia maggiori informazioni per fare le sue scelte. Il colloquio terapeutico ha più scopi e di maggiore complessità, si potrebbe dire “vivere meglio” ma è in realtà una sorta di riassunto che necessariamente lascia dietro di sé la complessità e molto altro. Tra gli scopi principali troviamo la riduzione della sofferenza perché è la motivazione principale dell’inizio di terapia. Con il tempo, quando ormai la sofferenza è stata attenuata, la motivazione e quindi lo scopo si sposta sul raggiungere maggior benessere. Altro scopo che si potrebbe incontrare è la maggiore consapevolezza di sé, dei propri bisogni, dei propri pensieri, dei propri comportamenti, delle proprie emozioni, del proprio modo di relazionarsi con gli altri, del proprio modo di vedere se stessi, gli altri e il mondo. Altro scopo presente è il cambiamento, questo perché serve una parte attiva del paziente e perché come diceva giustamente Einstein, “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose”
La risposta potrebbe apparire semplice ma invece ha una sua complessità intrinseca.
Una prima risposta potrebbe essere che si rivolga a chi sia in difficoltà e desideri farsi aiutare.
Chi chiede un colloquio individuale, in genere è una persona che potrebbe trovarsi in qualche difficoltà, per esempio relazionale, esistenziale, lavorativa, ma anche sessuale, psicosomatica, affettiva o familiare.
Ora serve fare una precisazione. L’approccio psicodinamico si rivolge principalmente all’inconscio e quindi, oltre ad orientarsi al sintomo, ciò che ci fa soffrire, si orienta alle proprie profondità e permette così una comprensione di sé stessi maggiore. Conoscere sé stessi è molto importante e lo sapevano già gli antichi greci. Sul tempio di Apollo a Delfi c’era scritto a chiare lettere “conosci te stesso”. Socrate è ancora più chiaro: “Una vita non esaminata non vale la pena di essere vissuta dall’uomo”. Termino con una frase di Jung stupenda e terribile al tempo stesso: «Finché non renderai cosciente l’inconscio, dirigerà la tua vita e tu lo chiamerai destino».
Gli incontri avvengono con caratteristiche particolari che riguardano il luogo, la terapia e “il contratto” tra paziente e terapeuta. Queste caratteristiche si racchiudono nella parola “setting”. Il setting lo si può pensare come una cornice all’interno della quale sono presenti i presupposti che rendono possibile il colloquio.
Le prime caratteristiche riguardano il luogo. Lo studio deve trovarsi in un posto tranquillo dove possa avvenire il colloquio senza essere disturbati. Lo studio deve essere accogliente, io uso l’espressione “un po’ come un salotto di casa”. Altro elemento del setting è il tempo, frequenza delle sedute, loro durata. Vanno anche concordati i giorni e l’ora. Vanno concordati anche gli obiettivi anche se non sempre sia possibile definire e comunque spesso in divenire. Serve definire anche le regole relative al contratto terapeutico e al compenso. Altra caratteristica del setting è il rispetto della privacy. Il paziente deve avere la possibilità di accesso allo studio con riservatezza e soprattutto che venga rispettato il segreto professionale.
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